Nel documento finale del VII° Slow Food International Congress tenutosi a CHENGDU, China dal 29 settembre al 1 di ottobre 2017 si legge: “Noi rappresentanti della rete di Slow Food e di Terra Madre provenienti da 90 paesi del Mondo………… A NOME DI COLORO CHE PRESERVANO LA SALUTE DEGLI OCEANI, LA BIODIVERSITA’ MARINA, GLI ECOSISTEMI ACQUATICI CHE RAPPRESENTANO PER MILIONI DI PERSONE LA PIU’ PREZIOSA FONTE DI CIBO E DI IDENTITA’ GASTRONOMICA…………………”
Seguono 8 punti di grandissimo impegno e da tutti condivisi che costituiscono la struttura portante della filosofia di Slow Food International; questa diventa operativa con diversi progetti e protagonisti nel Pianeta.
Vedi PDF >> “Documento Dichiarazione di Chendu”
Con riferimento agli Ambienti acquatici, la costante sempre in evidenza è la centralità dei pescatori costieri che praticano una Piccola Pesca “Sostenibile” in perenne lotta contro l’omnipotenza delle lobby mondiali della Pesca Industriale.
Tutti questi “eroi” trovano identità nell’ultima forte affermazione che conclude la dichiarazione:
LORO SONO GIGANTI, MA NOI SIAMO MOLTITUDINE !
Un esempio eclatante di ciò è Slow Food Caribe, dove i pescatori difendono strenuamente la loro identità e l’ambiente costiero oceanico, diventandone i coraggiosi custodi e tutori delle risorse, ben consapevoli che se mal amministrate, queste ultime si esauriranno irreversibilmente perchè non sono infinite.
Vedi LINK >> “Slow Fish Caribe – a Community Across the Caribbean”
Pesce Lento ( Slow Fish) è una filosofia che si può applicare in una qualsiasi regione del Pianeta acquatico ed è l’unica che può diventare un investimento futuro, mantenendo un corretto rapporto fra il prelievo e la tutela delle risorse di Biodiversità.
Il VII° convegno di Slow Food International a Chengdu, si è svolto nel 2017 nella Repubblica Popolare Cinese ( RPC ) dove all’interno dei suoi confini non è certo un mistero l’essere governati autoritariamente dal Partito Comunista Cinese (PCC); il convegno e la dichiarazione finale potrebbero essere anche visti come una grandissima sfida e scommessa, se si volesse dare al manifesto di Chengdu, sottoscritto da tutti i partecipanti dei 90 paesi, un suo pieno significato di Libertà, Rispetto dei Diritti umani, mai separabili dalla salvaguardia dell’ Ambiente e della Biodiversità.
La RPC non è certo leader mondiale in tutto ciò, a cominciare dai primati d’inquinamento nelle sue megalopoli dove si sono concentrate, come mano d’opera a basso costo, le popolazioni rurali che alla ricerca di un maggior benessere, di fatto sono state forzate a nuove condizioni abitative ed esistenziali
Vedi LINK >> ” Le città più inquinanti al mondo: tre cinesi sul podio. Torino prima in Italia. CLASSIFICA”
In questo contradditorio contesto, già nel gennaio 2015 nasceva Slow Food Great China divenuto poi anche uno dei promotori dello storico convegno di Slow Food International di Chengdu.
Vedi LINK >> “Intervista con Piero Kuang Sung Ling fondatore e coordinatore di Slow Food Great China”
La pandemia Covid 19, scoppiata a Wuhan nel dicembre 2019, sembra aver cancellato tutti gli eventi che richiedono la partecipazione di un pubblico in presenza e anche Slow Food Great China al momento, sembra averne subito pesantemente le conseguenze. Che poi la politica estera cinese sia fondata sull’espansionismo commerciale e globale, fornendo al mercato mondiale prodotti di ogni genere, ma sempre molto competitivi nei prezzi, non è di certo un mistero per nessuno.
Non entreremo nel merito di ciò, ma proporremo una valutazione di opportunità relativamente alle “comunità del cibo mondiali”, ovvero quelle proposte idealmente come una rete e in accordo con la “mission” di Slow Food International; tutte queste, sembrano ben identificarsi come realtà nella Dichiarazione di Chengdu.
Il convegno con un taglio meno idealistico e sicuramente più pragmatico, di fatto può essere anche ripensato, come un’ inventario vivente di piccole comunità, dove queste possono testimoniare le eccellenze del cibo e di culture non omologate di molti paesi del Pianeta. Eccellenze che se riprodotte opportunamente in altro luogo, magari in qualche sito della RPC, potrebbero diventare nuove fonti d’investimento e business per l’esportazione in regioni lontane che abbiano un ampio potenziale d’interesse commerciale pro RPC.
Sulla disinvoltura commerciale di RPC può valere ad esempio la politica in Africa, dove l’acquisizione di grandissimi spazi dedicati all’agroalimentare è prevalentemente destinata a prodotti non necessariamente autoctoni finalizzati ad una esportazione extra-africana. Questa occupazione di suolo è ormai diffusa in molti stati del Continente Nero ed è emblematica delle modalità d’investimento globali della RPC…. in stretta dipendenza dalle direttive del PCC.
Fra i molteplici problemi in Africa, come malattie endemiche e povertà, esiste anche quello grave per cui si continua a “morire di fame”.
Vedi LINK >> “Agenzia ANSA: Oxfam, in Africa 6 persone al minuto muoiono di fame.”
Usare i suoi terreni per l’estrazione di minerali “rari” e contemporaneamente investire in un’Agroalimentare da esportazione verso la China o altri paesi remunerativi, si configura come la nuova frontiera del neo-colonialismo cinese. Questo è alternativo e in contrapposizione a quello praticato dalle potenze occidentali tradizionali che comunque, portandosi dietro il peso di un pesante passato coloniale, risultano molto meno gradite dagli africani, rispetto ai più suadenti investitori orientali della RPC.
MAPPE AFRICA:
Quando poi sul Lago Victoria ormai inquinato, la pesca del Persico del Nilo ( che sfilettato arriva sui banchi pesce europei , spuntando prezzi fino 15 € / kg), è diventata meno remunerativa per overfishing e i locali non riescono più a sfamarsi con le specie endemiche ormai estinte, …
Vedi LINK >> “Lago Vittoria, un pozzo di veleni, marcio nel profondo, tra liquami umani e industriali”
… ecco che il Dragone riesce a “vomitare” in loco specie d’acquacoltura made in China, come la Tilapia e lo stesso Persico del Nilo a prezzi stracciati!
Vedi LINK >> “Pesci chinos importati in Kenia”
Questi pesci da acquacoltura made in China che sono a bassissimo costo, mettono all’angolo le attività residue di pesca locale, consentendo così un uso più spregiudicato delle acque che a loro volta possono essere maggiormente utilizzate per interessi estrattivi o agricoli, ma stravolgendo gli antichi equilibri socioculturali delle popolazioni residenti. Si potrebbe pensare che chi scrive non abbia particolare simpatia per le politiche espansive mondiali del regime autoritario e comunista della RPC, ….. beh se vi siete fatti questa idea… siete molto vicino al vero!
Nel convegno di Chengdu l’interesse e i contributi delle comunità mondiali del cibo, per la maggior parte hanno riguardato le realtà di Terra ferma, mentre trascurabile se non nullo è stato l’apporto delle comunità del Mare. Per le comunità della piccola pesca, c’è stato il vuoto più totale e forse è questo un problema che nella RPC non si è mai posto e non si porrà mai semplicemente perchè è considerato irrilevante, magari perchè troppo libertario oltre che economicamente non redditizio per uno stato iperstrutturato con modalità socialmente rigida direttamente dal PCC .
La flotta peschereccia cinese, con i mari di pertinenza territoriale sempre più svuotati, è ormai straripata in tutte le acque del Pianeta e non certo per dare esempi di pesca sostenibile, ma per prelevare di tutto e di più ai limiti della legalità e disinvoltamente anche oltre. Forse è il concetto di sostenibile che non esiste in una cultura alimentare che almeno a livello popolare spesso sceglie il cibo sulla base del “purchè si muova e comunque poi lo essicchiamo” e lo grattuggiamo nella zuppa!
Come “gran finale” di questo percorso senza un ragionamento, ma dove il “sostenibile” appare un po’ come un fantasma, mostreremo alcuni video sulle pratiche di pesca costiera in modalità del tutto manuale e operative con uno o due protagonisti umani.
Dire che però questa tipologia di pesca sia sostenibile e rispettosa delle risorse….. credo sia praticamente impossibile!
C’è un forte sospetto che vengano utilizzati “attrattori sconosciuti” insieme a quelli biologici e che poi i poveri pesci vengano sottoposti ad un trattamento d’intossicazione (asfissia? per mancanza d’ossigeno?) nel piccolo bacino d’acqua, dove fra gran risate di soddisfazione per la mattanza, vengono raccolti manualmente!
Piccola Pesca costiera…. sostenibile? Neanche l’ombra! Simpatia per questi pescatori? Molto scarsa. Compassione? Forse, ma bisognerebbe tener presente che quello è l’approccio di sempre e che vede nell’essere vivente unicamente una fonte di cibo, magari anche da poter vendere al mercatino.
Concluderò questa rassegna illustrante l’interesse di RPC per le piccole comunità mondiali che difendono le risorse attraverso una pesca sostenibile con la spontaneità diretta del dialetto milanese ormai raramente parlato e conosciuto solo da una piccola comunità:
Chengdu Fish? Al cinès ghè pìas el pèss….
ma de bùn, … quel di alter l’è mej
e sel pò, lù… el cinès, te’ fa’anca pasà cum-an fèss*!
*bamba.. era più corretto, ma la rima ……
Roberto Di Lernia
Grazie Rob